L'Incendio Nell'Uliveto by Grazia Deledda

L'Incendio Nell'Uliveto by Grazia Deledda

autore:Grazia Deledda [Deledda, Grazia]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2011-12-15T07:57:52+00:00


VII.

La domenica, dunque, si annunziò come un giorno di grande festa per tutti.

Era di maggio, il giorno di Pentecoste. Già dall’alba le campane suonavano, e un usignolo era venuto fin sull’orto a sgranare sulle rose e sui fiori d’aconito sbocciati sul muro, le sue note perlate.

Dal finestrino della sua stanzetta zio Taneddu vedeva, nel cambiarsi la corta camicia cucita e rat-toppata dalla sua prima moglie, le vecchie querce nere, già lontane nella valle, tutte dorate dalle foglie nuove, e i macigni di granito scuro sui monti coperti dal fiore rosso del musco. Perché anche lui non doveva rivestirsi di colore, e ridare a una donna le chiavi della cassa di sua moglie?

Per adesso indossava il costume ancora nuovissimo da vedovo; aprì il finestrino e vi si specchiò.

Sullo sfondo tremulo del paesaggio, là dentro il vetro, si vide piccolo e rossiccio, col suo corpetto di velluto, la sua berretta nuova, come uno di quei contadini da presepio verniciati in nero.

E pensava che anche Mikedda era piccola e magra; ma doveva crescere e forse anche ingrassare; i polsi li aveva forti, e diceva lei ch’era buona a pulire il grano e la farina e a far da sola il pane di un ettolitro di frumento.

“Adesso sentiremo dalla padrona Agostina quanto c’è di vero in tutto questo.”

Scese, guardò se in cucina le fave che aveva messo a cuocere bollivano, guardò se i buoi mangia-vano. Mangiavano, i buoi, nel cortiletto caldo, e pareva salutassero il padrone col lento scuotere della coda; ed egli sedette un momento sulla pietra ove di solito la sua prima moglie s’indugiava a filare e cucire, e pensò un’ultima volta se il passo che faceva era ben fatto. Gli parve che appunto lo spirito grave della sua prima moglie, aleggiando intorno, colle ombre grandi dei buoi, col lento smuoversi delle loro code, con quel silenzio stesso di casa deserta fatto più grave dai gridi di fuori e dal suono delle campane, gli dicesse:

“Va dalla padrona Agostina; se lei dice che è bene è bene.”

Ed egli andò dalla padrona Agostina; prima però si assicurò che il brevissimo tratto di strada era deserto: solo in fondo, nel sole del crocevia, si vedevano passar fiammeggiando figure di donne ve-stite a nuovo che andavano a messa. Taceva il suono dell’incudine del fabbro, laggiù, e la porta del ciabattino era chiusa. Sul portone massiccio dei padroni, il contadino vide una figura disegnata col gesso, con un uovo per testa e due zampe di gallo; si fermò ad ammirarla, poiché la sapeva opera di Gavino e gli sembrò anzi che rassomigliasse un po’ a lui. Poi entrò.

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Il cortile era deserto, pieno di sole; la vite spiegava già intorno ai due pilastri del portichetto le sue foglie di oro argentato; giù in fondo, attraverso la porta della cucina e l’uscio della camera spalancati, la padrona Agostina, sulla sua scranna davanti al camino ancora acceso, pareva l’immagine dell’inverno ritiratosi in una grotta.

Il contadino andò dritto a lei, sedette a un cenno della canna, aprì bene le gambe con le brache nuove gonfie come palloni.



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